Giorno: 2 gennaio 2017

La storia di Carolina

Anno 2008. Decido di cambiare la mia vita. Mi trasferisco a Sharm El Sheik a lavorare. Ho voglia di sole, di mare, di aria aperta.
Dopo qualche mese appaiono i primi sintomi. Faccio delle cure palliative ma ritornano inevitabilmente, fino a quando i medici mi dicono che devo sottopormi a gastroscopia e decido di tornare a casa per indagare.
Dopo diverse indagini e un ricovero prolungato, ecco la diagnosi: linfoma non Hodgkin extranodale Burkitt-like.

Quante parole per dire che hai un tumore del sangue…

Improvvisamente ti cambiano il film della tua vita, ti trovi in un’altra regia dove tu conti poco e a condurre il gioco sono i medici.
Dopo la mazzata iniziale, e credetemi fa male, penso che questa non sia una tragedia ma una grande opportunità della vita, una risorsa da cui imparare ad attingere.
E così è stato che il linfoma ha cambiato la mia vita dandole una scala di valori e priorità diverse.
Inizio la chemioterapia a dicembre 2008 e finisco a maggio 2009, e ancora oggi ricordo ogni singolo giorno, ogni ora, ricordo date, avvenimenti, notizie, ricordo perfettamente quando stavo morendo. Ricordo però anche di non aver mollato mai! Mai pensato di dover morire, mai, nemmeno per un attimo, neanche quando tutto andava storto e tutti disperavano, incluso i medici.
Dopo quindici giorni di febbre a 42 ero sì un po’ più nervosa, ma ero sempre pronta a sorridere e a calmare e dare speranza a chi era vicino a me.
Non sempre è stato semplice, ma è stato molto formativo; non sempre comprendi cosa stia succedendo, ma c’è una forza vitale dentro ognuno di noi che ti spinge ad andare avanti e, credetemi, questa forza è dentro di noi, bisogna solo saperla ascoltare e darle spazio.
Ricordo che per un mese non ho mangiato né ingoiato acqua, mi faceva troppo male la bocca. Ero costretta all’alimentazione parenterale, ho perso tutti i capelli, sono ingrassata 20 kg, ma ricordo con tenerezza le mattine in ospedale. Mi lavavo e mettevo il rossetto, sempre! Credo di essere stata orribile, ma quel rossetto per me era la vita.
Per noi malati le cose più semplici diventano complicate. Ad esempio lavarsi è una vera impresa; non puoi farlo da sola, hai bisogno di aiuto concreto. Quanto mi ha lavato e profumata mia sorella! Ecco perché le malattie onco-ematologiche non sono malattie del solo paziente ma di tutta la famiglia, perché se non c’è una rete di persone e di protezione attorno a te, non ce la fai…
Tu paziente sei più delicato, più fragile, più vulnerabile. Hai bisogno di essere coccolato, accompagnato, sostenuto, ma mai e poi mai commiserato. Tutto deve diventare normale, anche la chemio entra nella tua normalità e deve essere ridimensionata ad un momento di percorso comune ma che poi passa, finisce mentre tu continui la tua strada.
Poi un giorno fai la PET di rivalutazione per prepararti al trapianto autologo del midollo e il risultato è: remissione completa!
Improvvisamente, così come è cominciato finisce, non devi fare più niente, torni a casa e, puff…, è tutto finito.
Così sembra… Tutti sono felici, si ritorna al tran tran quotidiano, si torna alla leggerezza del vivere. Finisce per tutti, ma non per te. Per te inizia adesso! Molli la presa e sei stanchissima, hai poche forze per fare tutto; ci ho messo un anno a riprendermi dalla chemio ed ancora oggi ne porto i segni.
Cala il silenzio, ma dentro di te c’è un rumore assordante, c’è un tumulto che si agita e vuole venir fuori, la vita grida vendetta; niente è più come prima, tu non sei come prima e, mentre tutti ti vogliono come prima, tu inizi il tuo percorso di rinascita.
C’è un libro di Giuseppe Pontiggia, “Nati due volte”, che è meraviglioso, e tu così ti senti, nata per la seconda volta, solo che stavolta sei grande, adulta, quindi devi dare un senso a questa tua rinascita, ma soprattutto devi ricambiare tutto ciò che la vita ti ha regalato.
In ospedale avevo giurato a me stessa che quando fosse finita la tempesta del linfoma sarei stata vicino ai malati. Volevo farli sorridere, aiutarli, volevo dare loro una speranza, e così sono entrata nel mondo del volontariato. La grande famiglia AIL mi ha accolto a braccia aperte, sono diventata una volontaria ospedaliera. Alcuni giorni della mia settimana vado in ospedale, nel DH ematologico, e sono vicino ai malati; provo a dar loro una mano, provo a indicargli la strada del sorriso, dell’amore, provo a dir loro che visto che si deve fare è meglio farlo con un sorriso piuttosto che piangendo, provo a dar loro una speranza: la mia persona ne è la prova. Il mio esserci dà loro una speranza.
Molti non credono che io sia una ex paziente, ma dopo averglielo dimostrato (il malato è diffidente) la comunicazione diventa un’altra cosa, lui si fida, sa che quello che lui sta affrontando non devo immaginarlo, è vita vissuta. Allora abbassa le difese, si apre e tu entri con tutto il tuo amore e la tua com-passione.
Il mio motto di volontaria è “Se io quel giorno riesco a tirar fuori un sorriso ad un malato, ho dato un senso a quella mia giornata”.
Quanti sorrisi ricordo, quanti pianti, quanto dolore, quanto amore, quante risate, quante persone, quanti ragazzi, anche qualche perdita, ma insieme a tutto ciò c’è sempre la voglia/necessità di esserci perché è doveroso provare ad amare gli altri, stare accanto ai più deboli, dare per il piacere di dare, creare attorno a queste persone quella rete di protezione di cui parlavo prima. È fondamentale per il malato essere sostenuto, essere visto come una persona e non come una patologia, essere chiamato per nome. È importante vedere la luce in fondo al tunnel!

L’unico modo per allontanare il dolore è attraversarlo. Questo è ciò che ho fatto e che continuo a fare facendo volontariato. Tutto questo grazie al mio linfoma.

La vita mi ha regalato tanto; io provo a restituire ciò che ho avuto facendo la mia parte che è sempre poco rispetto ai tanti, innumerevoli problemi.
Come dicevo prima, la vita grida vendetta!

Carolina,
ex paziente e volontaria AIL

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La storia di Carla

Mi chiamo Carla e vi racconto la mia storia perché voglio condividere la mia esperienza con chi combatte ogni giorno contro un tumore del sangue.

Tutto iniziò il 1998 quando mi hanno diagnosticato la Leucemia Linfocitaria cronica, un tumore del sangue che colpisce solitamente le donne a 60 anni circa, ma io all’epoca ne avevo 40. Un colpo durissimo da accettare, seguito da smarrimento e poi da una fase di depressione. Ero relativamente giovane per questo tipo di tumore, di conseguenza non sapevano dirmi quanto anni di vita avrei avuto.

Fu così che iniziò l’iter di visite specialistiche,analisi,controlli, lunghe liste di attesa, che mi hanno accompagnato per 9 lunghi anni. Nel 2007 arriva il momento di iniziare le chemioterapia, e dopo due anni, finalmente mi dissero di poter ritornare a svolgere la mia vita di sempre. L’incubo era finito.

Già quando ero in ospedale pensavo a cosa fare quando tutto sarebbe ritornata alla normalità. Una cosa era certa, volevo dedicarmi a donare speranza e conforto a chi, come me, aveva sofferto.

Durante tutto il periodo della malattia il mio riferimento è stato, ed è ancora tutt’oggi per i controlli di routine, il team del prof. Bruno Rotoli al nuovo Policlinico di Napoli. Sin da subito mi sono sentita protetta, accolta, guidata e seguita sempre in una rete che mette il paziente al centro di tutto. Ed è stato proprio in ospedale che ho conosciuto l’AIL.

Durante le infinite ore di attesa del day hospital c’erano le volontarie dell’AIL che accoglievano sempre con il sorriso i pazienti ematologici. Quel clima sereno che trasmettevano, coccolandoci con una parolina di conforto e la “caramella del buongiorno” mi sollevavano dalle ansie dell’attesa.

Fu così che decisi di contattare tramite loro la segreteria dell’AIL di Napoli, per dare la mia disponibilità al volontariato.

La mia prima esperienza da volontaria è stata in piazza per le uova di Pasqua. Prima della malattia, ho sempre fatto volontariato, in varie situazioni dall’aiuto alle persone indigenti all’assistenza psicologica nei centri d’ascolto presso la scuola dove facevo l’insegnante, ma il ricordo di quella prima volta per l’AIL è ancora vivo in me.

Ero emozionata, desiderosa di voler condividere le mia esperienza, di portare il sorriso a chi non riesce a sperare neanche più in una futura guarigione.

Durante la malattia, ho avuto la fortuna di avere i miei familiari e tanti cari amici sempre vicino, ma nonostante ciò mi sentivo spesso smarrita e spesso si alternavano momenti di grande solitudine e disperazione.

Ed è soprattutto per questo che ho scelto di fare la volontaria AIL. Scendere in piazza per me significa poter entrare in contatto con i pazienti ematologici e con i loro familiari, poter condividere ansie e timori e dare soprattutto conforto a chi vive un tumore del sangue e pensa di non farcela.

Oltre all’attività in piazza durante le manifestazioni nazionali, contribuisco a dare una mano allo staff dell’AIL Napoli, come per esempio nel distribuire tra amici e conoscenti i biglietti per gli eventi di raccolta fondi o i gadget natalizi, portando sempre con me la voglia e l’entusiasmo di raccontare e di condividere la mia esperienza.

La mia malattia è ancora un punto interrogativo ma ringrazio la ricerca perché facendo continuamente passi in avanti, mi permette di continuare a sperare.

Carla,
paziente e volontaria AIL

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